Tenne duro anche il secondo giorno. Aveva i crampi allo stomaco. Stomaco che brontolava. Anzi, lei lo sapeva, imprecava di bruttissima maniera. La notte dormì a fatica. Sognò il fantasma inviperito del barattolino alla stracciatella che aveva fatto fuori la notte precedente. Era tornato per tormentarla. Per sempre. Sognò il governo Monti che tassava gli insaccati. Sognò di aver preso il diabete così come si prende l’influenza. Sognò un esercito di dietologi nazisti.
Fu una giornata durissima. Peggio della precedente. E una notte da incubo. Letteralmente.
Il terzo giorno venne a trovarla l’amica Ginevra. Fu quando la abbracciò e desiderò di darle un morsino che Carla capì che forse era il caso di allentare un po’ la cinghia. Chiese all’amica di lasciarla da sola. Non voleva mangiarla. E, da sola, al tavolo della cucina si decise. Sì, doveva allentare un po’ la cinghia. Doveva. Era un po’ come in prigione. Aveva pur diritto a un’ora d’aria. Si era però data dei limiti. Ben precisi. Solo una fetta di torta. Una. Diede il primo morso e per la prima volta nella sua vita capì cosa fosse davvero la felicità. Ne diede un secondo. E un terzo. Gli occhi chiusi. Le papille gustative non avevano mai avuto un’esperienza anche solo lontanamente simile. Le sembrava di non mangiare da anni. Di non aver vissuto. Di non aver goduto. Diede un quarto morso. E un quinto. Non riusciva a smettere. Era tutto così incredibile. Finì per mangiare tutte e quattro le fette di torta che erano rimaste.
La situazione le era sfuggita di mano. E le era sfuggita dritta dritta nello stomaco. Il senso di colpa la prese alla gola. Afferrò la cornetta. E successe l’imponderabile: chiamò l’amica Ginevra per chiederle di accompagnarla a correre. All’altro capo del filo seguì un lungo silenzio. Shockato. Non poteva aver sentito bene. Non poteva averlo detto veramente. Non seriamente. Non lei. Non a lei. Non poteva.
– Sei ancora lì?
– Sì …
– Allora? Mi accompagni?
– …
– …
– Ma …stai bene?
– No!
Si ritrovarono un’ora dopo al parco.
– Vuoi ancora mangiarmi? – chiese Ginevra. Un po’ per scherzo e un po’ no.
– Ho mangiato metà torta. Alla panna. Farcita alla Nutella… – il tono era quello della confessione di una strage in un asilo nido.
– Corriamo… – Ginevra non credeva alle sue stesse parole. Mai e poi mai avrebbe pensato di poter dire certe cose. Quella era la dimostrazione di amicizia più grande mai vista sulla faccia della terra.
Partirono di buon passo. Circa cinque secondi dopo decisero che sarebbe stato meglio optare per la marcia. Dieci minuti dopo Ginevra stava per mollare. La corsa e la vita. Pensò per un attimo di fare testamento. Ma era troppo stanca pure per quello. Voleva solo morire.
– Fai finta che ci siano i saldi – la motivò Carla come solo lei poteva fare.
Parlarono di vestiti, pantaloni, scarpe, scarpine, scarpette. 10%, 20%, 50%. E shopping on-line. E outlet. Per più di un’ora. Erano a metà strada sulla via del ritorno quando capirono che non ne potevano più. Parlare di shopping era il loro modo per affrontare i problemi. Ma correre, o meglio marciare, era un problema troppo grosso per entrambe. Ginevra guardò Carla. Carla guardò Ginevra. Nessuna delle due parlò. Si capirono. Carla prese il cellulare. Chiamò un taxi. Ginevra guardò Carla con aria riconoscente.
– Promettimi che non lo faremo mai più… – disse.
– Promesso – fu la promessa che Carla fece anche a se stessa.
… continua…