La vecchia era mia nonna.
Ne parlarono con la vecchia.
La chiamavano così.“La vecchia”.
Anche mio padre: suo figlio. “La vecchia”.
Ne parlarono con la vecchia.
La vecchia disse che le sarebbe piaciuto un sacco avere un nuovo cagnolino e mi prese con lei.
Mi ha insegnato a dare la zampa, a mettermi seduta, a riportare rami e palline. Fin da quando ho iniziato a gattonare, mi ha portata in giro per il quartiere col guinzaglio. In macchina mi metteva nel bagagliaio, dietro la rete. Mi ha portata dal veterinario regolarmente. Mi ha fatto l’antipulci e l’antizecche. Mi premiava coi biscottini per cani.
Quando però iniziai a camminare su due zampe, la vecchia si preoccupò tantissimo, non sembrava più lei, non mangiava più, era sempre triste. Non faceva che passare giornate intere a guardare la pioggia cadere contro la finestra del salotto. Anche quando non pioveva.
Mi riportò da mia mamma e mio padre.
Aveva l’aria lugubre.
– Questa cagnolina ha dei problemi … sta male … va fatta sopprimere …
Fu così che tornai dai mie genitori.
La vecchia pensava che io avessi qualche malattia e voleva farmi sopprimere.
Fu così che tornai dai mie genitori.
Anche se passavo due terzi delle mie giornate al nido.
E l’altro terzo delle mie giornate dormivo.
Mia madre mi lasciava al nido un’ora prima dell’apertura. In una cesta. Come i neonati abbandonati dei film. Solo che lasciava un biglietto: “non la stiamo abbondando, stasera passiamo a riprenderla”.
E infatti passava a riprendermi mio padre. Un’ora dopo l’orario di chiusura del nido.
Dopo quella volta che mio padre si dimenticò di passarmi a prendere e passai la notte nella cesta fuori dal nido, mia madre, che da sempre ama la precisione, corresse il biglietto nella cesta “non la stiamo abbandonando, prima o poi passiamo a riprenderla”
In pratica, fino ai tre anni, la persona più presente nella mia vita è stata Pina, signora delle pulizie, che badava a me dalla chiusura del nido all’arrivo di mio padre. A tre anni sapevo dire in ordine alfabetico tutte le marche di detersivi sul mercato internazionale e avevo buona dimestichezza con lo sturacessi. Mi piaceva un sacco sturare i cessi. Ogni tanto li intasavo apposta, per poi stasarli.
Segni del destino. Preamboli di un futuro di merda.
Passavo due terzi delle mie giornate al nido, ma per i miei genitori era evidentemente poco, perché un giorno organizzarono una manifestazione non autorizzata per protestare contro l’ingiustizia sociale che riscontravano nel fatto che il nido chiudesse prima delle ventitre. Parteciparono solo loro due alla manifestazione. Ma furono abbastanza molesti da essere fermati, ammanettati e portati in questura.
Passavo due terzi delle mie giornate al nido. Fu lì che mi comunicarono che non ero un cane.
– Bau! – protestai.
Avevo due anni ed era scoppiata la mia prima crisi d’identità. Per un bel po’ di tempo continuai ad annusare il culetto ai miei compagni, fare i bisognini all’aperto, abbaiare al postino. Tuttora mangio cibo per cani ed indosso collarini antipulci che spaccio per collanine etniche.
… continua…
ok… per adesso è il racconto più senza senso di tutti….
ahahahaah … e non è ancora finita!
concordo con Susanna…
eh sì hihih … però a me piace un sacco hihi