Dopo qualche settimana, trascorsa più a guardare film, ascoltare musica, leggere romanzi e poltrire in poltrona (attività quest’ultima, sempre che la si voglia definire “attività”, che mi porta via la maggior parte del tempo da mesi a questa parte), che a cercare lavoro, questa mattina mi sveglio alle sette e, armato di tutta la buona volontà che possiedo, a dispetto di ogni buon senso ecologista, metto una serie di curricula in borsa e mi avvio in motorino verso i miei futuri datori di lavoro.
Tutto tranquillo. Nessuno in strada. All’improvviso una buca. Rodeo. Sono sbalzato in aria. Poi a terra. Vivo la situazione come se fosse un film. Spettatore. Sto scivolando sull’asfalto. Su un fianco. Nessun dolore. Nessuna paura. Mi sono fermato. Per strada non passa ancora nessuno. Vedo i curricula a terra, sparsi sull’asfalto, ed il motorino al centro della carreggiata. Mi alzo. Lo porto sul ciglio della strada.
Ancora nessun dolore.
Scena western. Inquadratura da terra. Folata di vento che porta via i curricula al posto delle solite granaglie. I curricula portati via dal vento, come messaggi nella bottiglia portati via dalle onde. Una nuova ed economica forma di volantinaggio.
Passo a fare l’inventario dei danni.
Rotto, nulla. Spero.
Bucati il giacchetto ed i pantaloni di jeans: urge shopping o far passare i jeans bucati per alla-moda. In fondo nei negozi si fa più fatica a trovare un jeans classico che un jeans invecchiato e strappato. Un attimo prima sei su un motorino con un jeans classico, l’attimo dopo sei a terra con un jeans strappato.
Passo ad accertarmi di eventuali ferite. Le mani sono intatte. Le dita sono ancora dieci. Nemmeno una ferita superficiale. Chiaro sintomo della più totale mancanza di riflessi e del seppur minimo istinto di sopravvivenza. Ma dal gomito a metà dell’avambraccio ho una discreta abrasione. Giusto il tempo di accorgermi della ferita al braccio che inizio ad avvertire un dolore alla caviglia. Scosto il calzino. Oddio. Un buco! Fondo almeno mezzo centimetro. Un buco. Un buco. Un buco. Inizio a vedere le stelle. Sto per svenire. Mi siedo sul ciglio della strada.
Senza ombra di dubbio trattasi di punizione divina per aver cercato di mangiare il frutto proibito, per aver cercato di superare le colonne d’Ercole, per aver cercato di trovare lavoro. Almeno, io la interpreto così.
Intanto passano alcune auto. Nessuno che si fermi.
Che mondo! Ma non le guardano le pubblicità progresso!?
Dopo qualche minuto penso che il capogiro sia passato. Provo ad alzarmi e a riordinare le idee. Mentre sto per prendere il cellulare di tasca, vedo che si sta avvicinando un’ambulanza. Pentimento divino per aver esagerato? Alzo un braccio, la mano aperta nel gesto di stop. L’autista dell’ambulanza guarda verso di me, mi saluta con la mano, prosegue.
Rimango di sasso. Bestemmio. Raccolgo le idee.
Prendo la situazione in pugno, da uomo: prendo il cellulare e chiamo la mamma.
Torno a casa dopo il pronto soccorso.
Un reduce di guerra. In attesa della medaglia al valore (e di un succo di frutta). Mi sdraio, tra gli sguardi preoccupati dei civili (madre, padre, nonni), sulla brandina (il divano) dove intendo passare l’intera settimana. A vedermi, sembro prossimo alla morte.
In realtà ho un paio di fasciature e tre punti (tre!) alla caviglia.
Passano i giorni e gli amici paiono trovare il tutto molto divertente: la caduta in rettilineo (“un genio!”), il saluto dell’autista dell’ambulanza (“molto educato!”), la teoria della punizione divina (“partorirai con dolore”).
[L’autista dell’ambulanza: chissà chi era quel ragazzo che mi ha salutato stamattina… che sia un amico di Massimo?]
… continua…
La scena dell’incidente è autobiografica a bestia!Ahahahahahahahah
Sì, ma tengo a precisare una cosa:
mai e poi mai mi sarei azzardato a cercare lavoro! 🙂
Quando son cascato, andavo dal prof a uno pseudo-ricevimento hihi
si può dire che andavo in gita a Pisa…
La cosa clamorosa è che la parte più vera della storia… è la vicenda dell’ambulanza!!! :-O