Da quel giorno iniziò questa brutta storia per cui ora mi ritrovo qui seduta ad un bar con le lacrime agli occhi.
Da quel giorno Franck a volte non voleva partire.
All’inizio avevo pensato che fosse per via della storia del vigile e la paletta. Pensavo che il mio lui facesse le ripicche. Non gli avevo dato peso. D’altra parte è un maschio. Cocciuto. I maschi sono così. Vogliono sempre decidere lì. E mai andarci di mezzo. Quando Adamo vide Eva per la prima volta, pensò: “era ora che mi fornissero un capro espiatorio”
Insomma … da quel giorno … a volte proprio non voleva partire.
Pensavo fosse offeso.
Infatti non lo avevo portato dal dottore. Cioè il meccanico. Un po’ perché pensavo che fosse una delle sue solite sceneggiate. Un po’ perché lui aveva sempre odiato i dottori. Li ha sempre odiati. Sempre.
Per altro lo capisco benissimo. I dottori da cui devo portare lui sono maschi, sporchi, palestrati, in tenuta da lavoro, barba incolta e mani unte (nessun Dereck Shepherd!). E senza uno straccio di infermiera (nessuna Meredith Grey!). Al più qualche altro esemplare maschile (Miranda Bailey?) perdigiorno maniaco dei motori.
Franck li chiama ‘i pedofili’.
Gente con non una cosa da fare nella vita. Pronti a mettere le mani su un motorino qualsiasi appena il meccanico abbassa la guardia. A chiedere le cose più private, le cose più intime: come va la carburazione? la cinghia? la cambiamo questa marmitta?
Non un minimo di ritegno!
Non un minimo di decenza!
Tutto il giorno a guardare mentre il dottore toglie le carene, spoglia i motorini.
Guardoni!
Zozzoni!
Insomma, aveva sempre evitato i dottori. Ma stavolta erano giorni che non partiva. In nessun modo. Dava due, tre, quattro colpi di tosse. Poi si ammutoliva.
Era già capitato in passato.
Poi papà cambiava la candela. E tutto ripartiva.
Quella volta non era la candela.
Papà diceva che non era nemmeno la marmitta (per la cronaca da anni tenuta in piedi con il filanciano).
Papà aveva la faccia buia.
Forse non aveva il coraggio di dirmi qualcosa.
Nelle ultime ore Franck aveva anche smesso di dare i suoi soliti colpi di tosse. Niente. Completamente ammutolito. Immobile. Senza segni di vita. Nessuna risposta alla pedalina.
Lo ho portato di corsa dal meccanico. Dal dottore.
Lo so che non avrebbe voluto.
Ma stava male.
Era colpa mia.
Dovevo rimediare.
Ho promesso a me stessa che non lo trascurerò mai più. Non lo darò più per scontato. Non lo metterò più in secondo piano.
Non ti accorgi di quanto tieni a una persona fino a quando non rischi di perderla.
E a volte è troppo tardi. L’hai persa.
Ero lì. In sala operatoria. In officina. Ma non potevo vederlo così. Attaccato a tutte quelle macchine. Non ce la facevo a vederlo così.
Era sempre stato un motorino pieno di vita.
Ne aveva passate tante.
Ne avevamo passare tante.
Insieme.
Sono dovuta uscire, per venire a sedermi, per riprendermi un pochino.
Mi sono seduta al bar lì di fronte.
Avevo bisogno di sedermi.
E di zuccheri.
Ho preso un caffè.
Quattro paste.
Un cappuccino.
Tre panini.
Tre succhi di frutta.
Ho mangiato.
Ho mangiato.
Ho pianto.
… continua…
Sono sempre i migliori che se ne vanno..
sic!